LA CONVENZIONE FARO

Quindici anni dopo la nascita della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa per la tutela del patrimonio culturale, la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva la ratifica del testo firmato a Faro, in Portogallo, da cui prende il nome.
Il Senato aveva già dato il suo via libera e il governo l’aveva sottoscritta nel 2013.

Soprattutto Lega e Fratelli d’Italia hanno criticato la ratifica, parlando di “resa culturale”.

La pietra dello scandalo sembra essere l’articolo 4, che parla di limitazioni e recita:

“L’esercizio del diritto all’eredità culturale può essere soggetto soltanto a quelle limitazioni che sono necessarie in una società democratica, per la protezione dell’interesse pubblico e degli altrui diritti e libertà”.

Nell’ art. 7 si legge che i Paesi che sottoscrivono il testo si devono impegnare “a stabilire procedimenti di mediazione per gestire equamente le situazioni dove valori contraddittori siano attribuiti allo stesso da comunità diverse“.

Da ora in poi, secondo questa norma europea, Il patrimonio artistico e storico del passato diverrà “risorse ereditate dal passato”.

In particolare questo nuovo regolamento, sembra stabilire che le opere d’arte debbano essere modificate in base alla sensibilità di chi le guarda (e non è chi guarda che deve sensibilizzarsi alle opere).

Praticamente si traduce in modificare l’apparenza delle opere in base al capriccio di un visitatore che la pensa diversamente. Quindi può arrivare uno e dire: “La mia religione dice che il David di Michelangelo deve essere vestito, quindi vi ordino di coprirlo”.

Subito, il ministro zerbino del Partito Democratico, Dario Franceschini, ha rigirato la frittata dicendo:

“Nessuna censura. Questo atto mira piuttosto alla maggiore condivisione di quanto abbiamo ereditato dalle civiltà che ci hanno preceduto”.

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